Ora di Ottawa

Ora di Ottawa

martedì 17 dicembre 2019

Calzature di ogni epoca al Museo della Moda e del Costume



Una passeggiata tra le robuste caligae dei soldati romani, i seducenti sandali delle cortigiane greche, i raffinati calzari indossati dagli dei oppure dall’aristocrazia romana; senza dimenticare la ricca varietà di calzature indossate dalle star dei colossal dedicati all’antichità, da Ben Hur al Gladiatore, e le più recenti creazioni di moda, ispirate dallo stile delle calzature del mondo classico e realizzate da protagonisti del fashion contemporaneo come Emilio Pucci, Salvatore Ferragamo, Yves Saint Laurent. 
È “Ai piedi degli dei”, mostra a cura di Lorenza Camin, Caterina Chiarelli e Fabrizio Paolucci, accolta nel museo della Moda e del Costume di Palazzo Pitti fino al 19 aprile 2020. 
La mostra, incentrata su un tema tanto affascinante quanto inedito, vuole raccontare gli infiniti ruoli che la scarpa ha rivestito in Occidente dai tempi antichi ai giorni nostri. Veri e propri protagonisti del percorso espositivo, formato da circa 80 opere (alcune delle quali giunte in prestito da importanti musei internazionali come il Louvre), saranno gli esemplari delle principali tipologie di calzature usate nel periodo compreso fra il V secolo a.C. e il IV d.C. e testimoniateci sia su preziose opere d’arte, fra le quali rilievi e vasi dipinti, sia in originale, come gli eccezionali reperti provenienti dal forte romano di Vindolanda nell’Inghilterra del nord. 
L’antico è messo a diretto confronto con il contemporaneo. Scarpe di alcuni tra i più grandi stilisti (come Genny, Céline, Richard Tyler, Renè Caovilla, Donna Karan) saranno esposte insieme ai modelli originali realizzati dalla più celebre manifattura italiana di calzature per il cinema, il calzaturificio Pompei, per alcuni dei film peplum divenuti veri e propri cult: si potranno ammirare i sandali di Liz Taylor-Cleopatra, i calzari di Charlton Heston-Ben Hur, quelle del Gladiatore Russell Crowe, le calighe dell’Alexander-Colin Farrell. ‘Ai piedi degli dei’ trova infine il suo naturale completamento nella multivisione, ideata e diretta da Gianmarco D’Agostino (Advaita Film) per immergere il visitatore in un universo di immagini in cui archeologia, fashion si fondono con i miti del grande schermo.

Il direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt: “Da sempre l’Uomo ha voluto riversare nelle calzature, strumento umile e quotidiano, un riflesso di quei principi di armonia e simmetria che governavano il gusto classico. La scarpa divenne cosi essa stessa opera d’arte, un oggetto plasmato più per esigenze estetiche che pratiche. Proprio per illustrare compiutamente questo ‘destino’ della calzatura, i cui presupposti sono già nel mondo greco-romano, si è voluto allargare il tema di questa mostra a due espressioni della cultura contemporanea intimamente legate fra di loro: il cinema e la moda. Sotto il segno della classicità, i curatori hanno esplorato questo inedito aspetto della ‘Fortuna dell’Antico’, recuperando suggestioni, echi e consonanze che, attraverso le pellicole di film come Cleopatra e l’ispirazione di stilisti, creano un inaspettato legame fra passato e contemporaneità”.
Fabrizio Paolucci, curatore della mostra e direttore del Dipartimento Antichità degli Uffizi:
“La scarpa non è soltanto un accessorio e questo concetto era ben chiaro già agli antichi, al pari dell’abilità che richiedeva il realizzarle. Platone, ad esempio, non esitava a definire l’arte del calzolaio una vera e propria scienza. Con la sua foggia o i suoi colori, questo indumento raccontava tutto della persona che le indossava: il sesso, la condizione economica, la posizione sociale e il lavoro. Quel che è stato sempre considerato un semplice dettaglio del vestiario, diviene ora il protagonista di un’esposizione, il cui fine è proprio quello di restituire alla scarpa il suo ruolo di prezioso documento del gusto e della tecnica del mondo greco-romano”. 




UN PO’ DI STORIA DELL’ANTICA CALZATURA
Nel mondo classico la foggia delle calzature costituiva spesso connotazione tipica di ben precise categorie sociali. Le caligae chiodate, ad esempio, erano usate prevalentemente dai soldati perché ideali per le lunghe marce, mentre i calcei, simili a bassi stivaletti e spesso vivacemente colorati se indossati dalle donne, connotavano le classi più elevate (patrizi, senatori e imperatori). Le fonti tramandano che le cortigiane, invece, erano solite indossare sandali che recavano, sul lato inferiore della suola, dei chiodini disposti in maniera tale da lasciare sul terreno un’impronta con la scritta “seguimi”. 
La seduzione, del resto, è da sempre un aspetto connaturato con questo capo dell'abbigliamento che, non a caso, svolgeva un ruolo simbolico di primo piano anche nel rito nuziale antico. E già nel mondo antico, la scarpa era protagonista di favole come quella di Rodopi, diretta antenata di Cenerentola, raccontata per la prima volta da Erodoto e poi da Strabone. Fin da allora, inoltre le calzature sono protagoniste di modi di dire. Cicerone, in una delle sue Filippiche, usa l'espressione “mutavit calceos” per dichiarare il mutamento del rango sociale di un personaggio, divenuto senatore, dal momento che i calcei dei senatori differivano da quelli dei patrizi.


Fabrizio Del Bimbo 
Nicoletta Curradi 


Un prestigioso volume di Franco Maria Ricci dedicato all'Oltrarno


’Firenze. Oltrarno, i Banchi, il giovane Leonardo’ è il nuovo volume di Franco Maria Ricci realizzato in collaborazione con Crédit Agricole Italia e presentato il 16 dicembre al Museo Bardini davanti ad un folto pubblico e alle istituzioni cittadine.
Una pubblicazione di prestigio che celebra  la ricchezza e la storia di un territorio meraviglioso nell’anno dedicato al grande Genio di Leonardo Da Vinci. Duecento pagine  con i testi di Alvar González Palacios e Tim Parks e le fotografie di Massimo Listri, presenti al Museo Bardini insieme all’editore Franco Maria Ricci e ai vertici nazionali di Crédit Agricole con Giampiero Maioli, responsabile del CA Italia e regionali con Massimo Cerbai, direttore regionale CA Toscana. Ad aiutare i presenti nella narrazione di questo libro, Edoardo Pepino, direttore di Franco Maria Ricci Editore che ha ringraziato il vicesindaco di Firenze Cristina Giachi e l’assessore alla cultura di Firenze Tommaso Sacchi.
I due autori hanno ripercorso il loro approccio a questa opera che  fa cultura e trasmette la percezione del bello e del buono" di questo angolo di Firenze così ricco di capolavori . Un approccio condiviso da Crédit Agricole che in Toscana sta crescendo consolidandosi con 90 filiali, 6 poli affari dislocati su 9 province, 2 mercati banca d’impresa, 1 area large corporate, 1 mercato private e 1 mercato consulenti finanziari. Tanti gli interventi attivati da Crédit Agricole sul territorio toscano. Dalla costituzione dei Comitati Territoriali all'importante finanziamento al Consorzio Depuratore Di Santa Croce Sull’Arno Spa, uno dei principali e più innovativi impianti di depurazione in Europa, passando per l'intervento di bioedilizia Firenze con la realizzazione di 24 unità abitative in classe energetica A4 e la convenzione con Cral Ataf.


Nicoletta Curradi

venerdì 13 dicembre 2019

Dopo Caravaggio, dipinti seicenteschi in mostra a Prato


Dipinti inediti della Fondazione De Vito insieme alle tele più suggestive del Seicento del Museo di Palazzo Pretorio a Prato danno vita ad un percorso espositivo che vuole raccontare l’impatto determinante della pittura di Caravaggio su alcune delle personalità più rilevanti della scena artistica partenopea nel XVII secolo, attraverso una scelta di opere di grande qualità delle due collezioni.




Arriva "Dopo Caravaggio - Il Seicento napoletano nelle collezioni di Palazzo Pretorio e della Fondazione De Vito", dal 14 dicembre 2019 al 13 aprile 2020 a Prato, Museo di Palazzo Pretorio. A cura di Rita Iacopino direttrice scientifica Museo di Palazzo Pretorio e Nadia Bastogi direttrice scientifica Fondazione Fondazione De Vito.


Orario 10.30 -18.30 tutti i giorni eccetto il martedì non festivo. La biglietteria chiude alle 18.
Biglietto museo e mostra 10€ intero, 8€ ridotto (riduzioni e gratuità sul sito www.palazzopretorio.prato.it).



Nicoletta Curradi

martedì 10 dicembre 2019

I ritmi slow di Castel San Pietro Terme





È risaputo che l'Emilia-Romagna sia una delle regioni italiane in cui si vive meglio e in cui si mangia meglio. E sono tante le città che confermano questa, considerazione, come la città di Castel San Pietro Terme, che è situata fra Imola e Bologna, lungo la storica via Emilia, proprio dove l’Emilia diventa Romagna. Quindi si può dire che si colloca, ... "sul trattino" che separa i due toponimi. Fondata nel 1199 come città fortificata, ha molto da offrire a chi la visita: roccaforti, castelli, siti archeologici, paesaggi mozzafiato, ma soprattutto tante persone che ti accolgono col sorriso.  Forse gli abitanti perseguono la filosofia della “lentezza”, tra tradizioni, prodotti genuini, acque termali e paesaggi  naturali di pace e serenità.
L'origine del luogo è molto antica, come dimostrano gli scavi archeologici svolti sul territorio, che hanno evidenziato tracce di insediamenti etruschi e celti, precedenti a quelli romani. 

Ma qui  più diffuse sono le atmosfere del medioevo e del rinascimento: nel centro storico cittadino è ancora visibile un torrione ed un tratto di mura che un tempo difendevano  l’intera città, testimonianze di una cinta muraria un tempo imponente. Notevole è il “cassero” del 1200,  simbolo della città, all’interno del quale si trovava un teatro, probabilmente realizzato dopo il 1500 quando il territorio fu conquistato dalle armate dello Stato Pontificio ed il cassero perse la funzione difensiva.

Alle sue spalle  si trova poi la massiccia torre trecentesca dell’orologio: l'’installazione dell’orologio risale al 1784 e grazie ad una continua manutenzione i meccanismi sono ancora intatti e l’orologio scandisce i lenti ritmi della città. Ma qui, nonostante i ritmi slow, ci si diverte tutto l'anno tra decine di feste, sagre ed eventi che attraggono sempre un buon numero di visitatori che uniscono allo svago la possibilità di gustare le specialità  locali. La gastronomia tipica si esprime con prodotti come il formaggio Squacquerone di Romagna Dop,   i savoiardi, il miele.  

la patata di Bologna Igp, la cipolla di Medicina, la pasta fatta in casa. 

Una verde collina coperta da vigneti sale fino all’azienda vitivinicola Umberto Cesari, una cantina degli anni’60 che coltiva vitigni autoctoni come Sangiovese, Albana, Pignoletto e Trebbiano, oltre ad alcune varietà internazionali come Chardonnay, Cabernet Sauvignon e Merlot, con sei poderi, Ca’ Grande, Liano, Laurento, Tauleto, Casetta e Parolino, ognuno con caratteristiche diverse  

La Cantina “Fratta Minore" realtà nata nel 2012, è gestita dai coniugi Nicola e Marianna Marrano, due professionisti con la passione per la vigna e il rispetto per l’ambiente. Nella loro produzione troviamo ancora  i classici di questa zona, Pignoletto, Albana, e Sangiovese. Il must è Dama Bianca Pignoletto Metodo Classico. 

L’Osservatorio Nazionale Miele ha sede proprio a Castel San Pietro Terme ed è un organismo nazionale che dal 1988 supporta il settore apistico. Nel mese di settembre si svolge la Fiera Del Miele e la premiazione del Concorso Grandi Mieli D’Italia con le  Tre Gocce D’oro.


Lo Squacquerone di Romagna DOP prodotto dal caseificio Comellini deve il suo nome alla particolare consistenza deliquescente della sua pasta, che si "squacquera" appunto.

Va infatti servito in un piatto perché non mantiene la forma dello stampo.

Oltre che per gustare buon cibo e bere buon vino, si va a Castel San Pietro Terme anche per godere del benessere generato dalle  acque termali solfuree e salsoiodiche che sono il cuore di queste Terme.  Il Polo termale, di recente perfettamente ristrutturato, presenta  nuove sale per le cure inalatorie, le polverizzazioni, i fanghi e le piscine per la riabilitazione, per un benessere a ,360°.  Sono disponibili trattamenti sia  riabilitativi, sia estetici. L'origine delle cure termali a Castel San Pietro risale al 1337, anche se il primo vero e proprio stabilimento termale è sorto nel 1870 e già allora si caratterizzava per l'approccio scientifico.
Adiacente alle Terme si trova il Golf Club Le Fonti a18 buche, di proprietà comunale, sede di competizioni a livello internazionale. Conta 800 soci ed un primato nazionale per campi a 18 buche.




A breve distanza da Castel San Pietro Terme si consiglia, prima di lasciare la regione, di visitare il caratteristico borgo medievale di Dozza Imolese, dal centro storico a forma di fuso. Sono affascinanti i numerosi, vivaci murales disseminati sui muri delle case e  imponente è la Rocca Sforzesca, nei cui sotterranei ha sede l'Enoteca Regionale, promotrice dei vini dell'Emilia-Romagna. La Rocca è di origine medievale, ma fu trasformata da Caterina Sforza in castello fortificato e, in epoca rinascimentale, fu adibito a residenza nobiliare. Oggi è una Casa-Museo aperta al pubblico.
Info: www.imolafaenza.it

Fabrizio Del Bimbo 




giovedì 5 dicembre 2019

Arcadia e Apocalisse, una nuova mostra al PALP





Dall’8 dicembre 2019 il PALP Palazo Pretorio di Pontedera ospita la mostra Arcadia e Apocalisse. Paesaggi italiani in 150 anni di arte, fotografia, video e installazioni, ideata e curata da Daniela Fonti e Filippo Bacci di Capaci e promossa dalla Fondazione per la Cultura Pontedera, dal Comune di Pontedera, dalla Fondazione Pisa, con il patrocinio e il contributo della Regione Toscana. La mostra, che proseguirà sino al 26 aprile 2020, ha l’obiettivo di indagare il modo in cui il paesaggio è stato percepito e rappresentato artisticamente dal 1850 fino ai giorni nostri, mettendo in luce quelli che sono stati i cambiamenti in materia di estetica e di codici rappresentativi e cercando al contempo di sensibilizzare la coscienza dei visitatori sul tema del degrado ambientale.


Attraverso un lungo racconto che si avvale di opere pittoriche, scultoree, arti decorative, fotografia e nuovi media – dalla metà dell’Ottocento ad oggi – l’esposizione ruota intorno al pensiero creativo sul paesaggio, un genere pittorico ereditato dal Settecento come rispecchiamento della natura nell’arte, in antitesi alla pittura mitologica e di storia, che si libera dai suoi stereotipi senza però scomparire, per la capacità che il paesaggio stesso ha di rinnovare profondamente i propri significati e codici rappresentativi, di riflettere le radicali trasformazioni della cultura artistica italiana e della società nel suo complesso.
La mostra si articola in vari capitoli, dalla diversa estensione, che servendosi della pittura, della fotografia, più avanti del video, del film e delle installazioni, conducono lo spettatore ad immergersi nei sentimenti e nelle riflessioni che – di decennio in decennio – il paesaggio ha ispirato negli autori e nei fotografi e ad apprezzare e comprendere opere che vogliono essere, oltreché immagini coinvolgenti, anche documenti in cui si travasa l’intera cultura di un’epoca. La pittura di paesaggio è infatti il frutto di un processo molto complesso di interpretazione e ‘ricostruzione’ della natura, che coinvolge il momento storico di riferimento con il suo sistema di relazioni, la cultura artistica cui l’autore appartiene e la storia individuale. Sentimenti e riflessioni che nel corso della lunga trasformazione del Bel Paese, trapassano dalla scoperta, in epoca ottocentesca, di un “paesaggio italiano” ereditato dal “Grand Tour” offerto alla modernità come cornice d’inalterata bellezza, alla testimonianza delle azioni talvolta violente che la storia ha inflitto al territorio italiano (dalle demolizioni alle devastazioni delle guerre), agli sconvolgimenti legati all’epoca della ricostruzione postbellica, al definitivo tramonto del mito post-romantico e alla  sua sostituzione con azioni di trasformazione così invasive e devastanti da far presagire una imminente Apocalisse.


Un autentico sentimento della natura. Nella pittura italiana del secondo Ottocento si afferma un sentimento della natura ereditato dal Romanticismo che porta a una interpretazione che si fonda su un più autentico rapporto con il vero. In area ticinese e toscana il processo di depurazione dai cliscé accademici passa attraverso l’idea del paesaggio come teatro della contemporanea storia risorgimentale (da cui muovono molti pittori macchiaioli come Giovanni Fattori e Odoardo Borrani, Cristiano Banti), come libera ricreazione luminosa del paesaggio toscano ereditato dai padri, e più tardi come ambientazione della vita all’aperto della emergente società borghese rappresentata della pittura da maestri come Michele Tedesco e Giovanni Boldini e della fotografia come Giacomo Caneva e Robert Macpherson. In area laziale, il paesaggio della Campagna romana, fra i riferimenti del Grand Tour, ancora documentato nei grandi album dei fotografi, si afferma nella sua classica magnificenza e desolazione come testimonianza, l’unica intatta, dell’antica grandezza in contrasto con la modestia del presente. Verso la fine del secolo, e a cavallo del nuovo, è prevalentemente sul paesaggio che si riversano le predilezioni dei pittori divisionisti innamorati della scomposizione della luce (Angelo Morbelli, Plinio Nomellini, Vittore Grubicy de Dragon), che rivaleggiano con i fotografi (Gustavo Bonaventura, Stefano Bricarelli, Filippo Rocci) nella ricerca di sfolgoranti effetti luminosi, nella apparente emulazione dei fenomeni naturali, ma con esiti di sofisticata astrazione.


La stagione del futurismo. Respinto ai margini del rutilante mondo iconografico del primo Futurismo macchinista, il paesaggio trova comunque i suoi cultori fra quegli artisti innamorati dell’analisi del fenomeni naturali o più suggestionati dalle atmosfere simboliste; più avanti nel corso degli anni trenta, il paesaggio diventa la naturale cornice dell’aeropittura e dell’aerofotografia, ma anche di svagati esperimenti di fotocollage, mentre la sua ultima stagione si caratterizza per una forte impronta spiritualista, basata sull’«idealismo cosmico», rappresentazione per simboli dello spazio siderale come metafora della densità psichica dell’uomo. Saranno presenti in mostra opere di Giacomo Balla, Leonardo Dudreville e Gerardo Dottori, Enrico Pedrotti, Fortunato Depero.


L’età delle trasformazioni: l’invenzione delle città. I due decenni fra le due guerre vedono, con in consolidarsi del fascismo l’avvio di una politica di lavori pubblici di grande impatto territoriale, destinata a imporre profonde modificazioni nel paesaggio italiano, accompagnate dall’enorme risonanza propagandistica creata dai moderni mezzi di comunicazione. I lavori di bonifica nell’Agro Pontino ingoiano ettari di territorio paludoso abitato da contadini transumanti e da butteri, portando alla fondazione delle “città nuove”, mito del fascismo, dominate dalla geometria del razionalismo (Giulio Aristide Sartorio, Duilio Cambellotti). La Capanna, archetipo residuale di una cultura autoctona di miseria e pura sopravvivenza, è finalmente sconfitta, almeno nelle intenzioni della propaganda.


Dagli anni Venti alla guerra. La pittura del Novecento è letteralmente dominata dal paesaggio, soggetto ambiguo nel quale si rispecchiano gli orientamenti espressivi e anche contraddittori di una intera generazione espressi da Antonio Donghi, Ottone Rosai e Giorgio Morandi; dall’impossibile recupero di una perduta Arcadia senza tempo all’aspra denuncia di problemi sociali lasciati irrisolti (Lorenzo Viani). Schermo perfetto per la idealizzazione del “ruralismo” primitivista antiurbano, nutrito di arcaiche virtù e incorrotti sentimenti (Ardengo Soffici), è per altri artisti una via di fuga tutta privata, trasposizione degli intimi moti dell’animo e di uno sgomento di fronte alla incommensurabile varietà e incombenza della natura.
Il paesaggio devastato: gli anni della guerra. Il decennio che si chiude con lo scoppio della guerra, si apre con un presagio di distruzione contrabbandato come pretesa di rivoluzione (le demolizioni nei grandi piani urbanistici) cui gli artisti, come Mario Mafai e Afro Basaldella, rispondono con sgomento e angoscia. Queste immagini saranno poi sinistramente simili alle fotografie dei bombardamenti che sventrano le nostre città e i territori. I pittori invece preferiscono non ritrarre eventi bellici e si affidano alla metafora e al simbolo proiettando sul paesaggio, reso afono e privo di bellezza, l’angoscia individuale e collettiva provocata dai tragici eventi bellici (Carlo Levi, Fausto Pirandello, Galileo Chini).


Dal 1960 al 1990. Gli anni Sessanta sono dominati, come in tutta Europa, dalle ricerche postinformali e astratte. Il paesaggio è per lo più un riferimento interiorizzato e rimanda ad una esperienza di carattere profondamente individuale (Tancredi, Giulio Turcato, Mario Giacomelli, Mimmo Jodice); tuttavia è sul versante della pop art e delle nascenti ricerche concettuali (Mario Schifano, Luca Maria Patella, Mario Cresci) che il paesaggio riprende piena legittimità in artisti che affrontano il tema attraverso il confronto fra pittura, nuovi media espressivi e nuovi materiali industriali, in uno sforzo di creazione di nuovi linguaggi e totale oggettivazione dell’immagine. I grandi maestri della fotografia di paesaggio, (Luigi Ghirri, Gabriele Basilico, Olivo Barbieri, Guido Guidi, Franco Fontana) s’impongono per il rigore formale che coniuga soggettività e dati della realtà esterna.
Fino ai nostri giorni. È un racconto aperto, nel quale si confrontano esperienze anche molto diverse, ormai affidate prevalentemente ai linguaggi del video e delle installazioni tridimensionali, (Michelangelo Pistoletto); ma all’interno delle quali il paesaggio è quasi univocamente assunto come elemento di preoccupazione e riflessione per gli esiti delle attività umane, una cornice sempre più fragile ed esposta. Fa eccezione la rinnovata utopia dei parchi di scultura ambientale, arcadici dialoghi fra arte e paesaggio, documentabili solo attraverso le fotografie di un grande maestro come Aurelio Amendola. Spoglio da ogni retorica, il paesaggio italiano contemporaneo ripreso dai grandi maestri mette a nudo la sua fragilità, ma anche la sua capacità di resilienza e la forza comunicativa di una imprevedibile, inedita e ostinata bellezza.
Arcadia e Apocalisse. Paesaggi italiani in 150 anni di arte, fotografia, video e installazioni è organizzata con la consulenza di Paolo Antognoli, Giovanna Conti, Alessandro Romanini e Francesco Tetro. La sezione fotografia è a cura di Maria Francesca Bonetti.

PALP Palazzo Pretorio Pontedera
Orario: da martedì a venerdì 10-19, sabato, domenica e festivi 10-20, lunedì chiuso
Ingresso: intero € 8, ridotto € 6 e 3

Nicoletta Curradi